LA GUARDIANA DI ICHATOR

Erano passate ormai molte lune da quando Alakar era tornato alle nubi e ancora non gli era succeduto nessuno, sino a quel momento almeno, ma quell'uomo non era il degno successore di Alakar, non era il prescelto, il sovrano designato dagli dei. Seduta alla specchiera pettinava i suoi lunghi capelli, sottili e lucenti come filamenti d'oro. Le sue labbra si muovevano a formare la sua richiesta, quella richiesta che non mancava mai di rivolgere alla sera. La richiesta che il suo incarico non le venisse revocato, perché, lo sentiva, il giorno della verità era vicino. Presto il degno possessore di Ichator, la spada magica forgiata da suo padre, avrebbe bussato alla sua porta.

Il vento si era alzato e il cielo così cupo non lo era stato mai. Isumd aveva ormai esteso il suo dominio su Inspar e tetri figuri si aggiravano per le vie di Akota, la capitale, e altre numerose città, per far rispettare la legge, ma quella legge era ingiusta e illegittima. Dopo anni di non governo, Inspar aveva finalmente un sovrano, ma era un sovrano crudele che aveva imposto la sua volontà col sangue. Ismud si opponeva con tutte le sue forze alla ricerca della spada che avrebbe legittimato il successore di Alakar, ora che egli era tornato agli dei. Siton si arrampicò su uno dei muri che delimitavano la città, nei boschi sarebbe stato al sicuro. Forse era solo un pazzo e nell'ultimo editto di Ismud, era scritto il vero: non esisteva nessuna spada magica, ma nessuna legge gli avrebbe impedito di cercarla. Era solo un bambino ma ricordava la felicità del regno quando Alakar era ancora tra gli uomini, e se c'era anche solo una possibilità di porre fine alle guerre e al sangue sparso, l'avrebbe colta, per nulla al mondo avrebbe rinunciato a cercare Ichator, fosse stata pure la sua ultima impresa.

Gela sedeva nella radura in mezzo ai rovi. Sentiva il gran giorno sempre più vicino, ma sapeva che la situazione era peggiore di quanto non fosse apparsa all'inizio. Ma non voleva darsi per vinta. Si alzò in piedi e lascio che il fascio di luce proveniente dalle nubi la rincuorasse. Le sue vesti furono scosse dal vento. Qualcosa stava per accadere.

Erano giorni che viaggiava, ed era ormai stanco. A piedi era sfuggito, perché non aveva potuto fare altro e a piedi aveva proseguito alla ricerca della valle. Il cammino era assai peggiore delle sue aspettative e ad ogni passo diveniva più impervio e difficoltoso, e i pericoli e i trabocchetti sulla via sempre più pericolosi ed ardui da superare, ora capiva perché quanti lo avessero preceduto si erano arresi senza neanche trovare la valle. Egli non si sarebbe arreso. Continuò per la via, ostacolo dopo ostacolo, pericolo dopo pericolo, fino a quando non vide innanzi a sé una foresta di rovi, più intricata di quanto potesse immaginare e così estesa come non ne aveva mai viste. Estrasse il pugnale dalla cintura e cominciò a farsi largo tra i rovi, e più avanzava e meno vedeva dove era diretto. “ Siton, sei un pazzo!” bofonchiò tra se, continuando a farsi strada. Finalmente, dopo un tempo che non avrebbe saputo definire, arrivò ad una radura, che appariva vuota. Che fosse quello il luogo sacro? Avanzò.

<<Chi va là?>> lo interrogò una voce eterea, ma egli non vide nessuno.

<<Siton, sono qui per Ichator>>

<<Davvero? E perché mai? Voi ormai avete un sovrano>> continuò la voce

<<Un sovrano crudele che teme la verità e la giustizia della spada!>> a quelle parole Gela si fece avanti, ben sapendo che se egli non avesse avuto il cuore puro non avrebbe potuto vederla. Ma non appena ella uscì dall'ombra egli la vide. Ella stese una mano, e subito al suo gesto apparve conficcata nel terreno e circondata da alti rampicanti, Ichator la spada forgiata da Oaissis , padre di Gela Siton si avvicinò e come stese un braccio per prenderla, la spada, si illuminò e si mosse verso di egli, come attratta da una forza misteriosa.

Siton rimase nella radura per un mese, un mese nel quale si esercitò con la spada, ed esercitò tanto il corpo quanto la mente. Ma in quel mese, accadde altro, si avvicinò a Gela al punto che la loro unione assunse i caratteri di una nuova alleanza. Quando egli partì per la sua impresa, sentiva in cuor suo, che se ne fosse tornato vittorioso, con lui sul trono avrebbe nuovamente seduto un membro della famiglia degli dei: Gela.

Durante tutto il tragitto di ritorno fino ad Akota, Siton, non passo per i boschi, ma per la via centrale e radunò di città in città di villaggio in villaggio un esercito di uomini, ta quanti ancora credevano nella speranza che un regno di pace e prosperità fosse possibile.

La lotta che ne seguì fu lunga ed estenuante e come già era accaduto alla fine del regno di Alakar ebbe ripercussioni sul tempo e le stagioni. Il cielo restò oscurato per quattro giorni e in quei quattro giorni siccità e piogge si alternarono come in quattro anni. Ma il quinto giorno, quando ormai Ismud e il suo illegittimo regno, furono sconfitti il sole tornò per salutare il regno di Siton e Gela.