UNA LETTERA DAL PASSATO

Gabriele Carlini, era seduto nel suo studio. Era il giorno del suo compleanno. Se ne erano ricordati proprio tutti, pensò tra social, chiamate ed sms. Si mise a smistare la posta. Bollette, messaggi di alcune organizzazioni religiose, e qualche cartolina di auguri. Sempre sorridendo, si mise a leggerle, una ad una, poi gliene capitò tra le mani, una perfettamente identica alle altre, ma senza mittente. Chi gliela mandava? ‘Vabbè’, si disse, ‘lo capirò leggendo’. Tranquillo, aprì la busta, e ne estrasse il contenuto. Sbiancò in volto, e per qualche minuto faticò a comprendere quello che aveva davanti. Le lettere, stampate, gli danzavano davanti agli occhi. Si alzò lentamente. Aveva la gola secca. Chi mai gli aveva mandato quella dannatissima lettera? E perché? Era uno sbaglio? Uno scherzo? Scosse la testa. Si versò un bicchiere d’acqua, rimpiangendo di non avere liquori in casa. Non riusciva a ragionare con lucidità. Avrebbe dovuto chiamare la polizia, si disse, ma un conto era il dirsi, un altro era il farsi, e se non gli avessero creduto? Scosse la testa, la lettera non se l’era mica spedita da solo! Il trillo del campanello lo distrasse dai suoi pensieri. Chi diamine era, alle dieci di sera? La paura lo paralizzò, ma poi si costrinse ad aprire. Sospirò, era la vicina. Una ragazzina intrigante, che si era appena trasferita.

<<Cosa vuole?>> Abbaiò. Non se la sentiva di essere cortese

<<Oh, mi chiedevo se poteva prestarmi del latte.>> Chiese con un irritantissimo accento inglese.

<<Latte?>> Chiese guardandola stupito ed irritato.

<<Sì, per il tè>> Disse. <<Oh, ma lei è così pallido!, sta bene?>> Gabriele, guardò allibito la ragazza entrare, senza essere stata invitata. Rassegnato, chiuse la porta, seguendo l’intrusa, che era arrivata già nel salotto.

<<Bene, grazie della visita, ora può andarsene.>>Abbaiò. Ma la ragazza si limitò a guardarlo.

<<Se mi può dare il latte.>> Voleva che andasse via. Subito.

<<Non ne ho.>> Mentì.

<<Oh, allora mi dica perché è così pallido.>> Ma tutte a lui, capitavano?

<<Senta, vado a controllare in cucina, non si sa mai. Aspetti qui.>> Avrebbe voluto sbatterla fuori senza pensarci, ma qualcosa gli diceva che si sarebbe attirato altri guai.

Shirley si guardò attorno. Il salotto era grande, e ben arredato. Su di esso si aprivano tre porte. Quella del corridoio, una che era chiusa e non avrebbe saputo dire dove portava, e la terza, aperta che dava su uno studio. La scrivania in disordine, risvegliò la sua innata curiosità. Si avvicinò al mobile e senza toccare nulla, ne esaminò i fogli sulla superficie. Conti, lettere di auguri e una lettera intimidatoria. Asettica ed impersonale, scritta a macchina, o almeno così sembrava. Eppure c’era qualcosa che non le quadrava.

<<Cosa diamine ci fa qui?>> Chiese Gabriele.

<<Ha chiamato la polizia?>>

<<Non sono affari che la riguardano.>> Ma cosa diavolo era, una donna o un uragano?

<<Deve chiamarla subito!>> Shirley si mise a battere un piede, scandendo il ritmo con impazienza.

<<Le ho chiesto io, d’impicciarsi?>> Shirley sbuffò

<<Senta, non sottovaluti quella lettera.>> Disse. Gabriele era furioso. Alla sua età non prendeva ordini, da una ragazzina.

<<Se ne vada!>> Tuonò, muovendosi verso la porta, l’intrusa lo seguì.

<<Faccia come crede!>> Disse uscendo. Era furiosa. Lei? Gabriele tornò nel salotto. Ma che tipo strambo! Si disse. Ma forse aveva ragione. Quella lettera poteva essere uno scherzo, come poteva non esserlo. Prese il telefono.

La polizia era andata via, e lui non era uscito di casa, ma non certo perché avesse paura, si disse. Fatto stava che la spesa non si faceva da sé, ed ormai era ora di pranzo. Uscì sul pianerottolo, c’erano tre appartamenti per piano, nella palazzina di 5 piani, dove abitava. Suonò alla sua dirimpettaia, la signora Rosa, era un po’ pettegola, ma la conosceva bene. Ma i tre tentativi, andarono in fumo, e il trillo del campanello si spense nel silenzio, evidentemente non c’era nessuno in casa. Sconsolato tornò, verso il suo appartamento, quando pensò di chiedere alla sua nuova vicina…era impazzito? Quasi meccanicamente si mosse verso l’altro appartamento e suonò. Pochi minuti dopo una spettinata Shirley in accappatoio andò ad aprire.

<<Ah, è lei? Entri. Intanto vado a cambiarmi.>> Lo lasciò nell’ingresso, sparendo in corridoio. Senza tacchi era ancora più minuta. Gabriele si chiuse la porta alle spalle, ed entrò, la casa era un caos, mobili spaiati, stili diversi, cuscini colorati e penne e matite, lasciate qua e là.

<<Voleva qualcosa?>> Era tornata a piedi nudi, con un paio di jeans sdruciti e una maglietta bianca.

<<Be’ sa…ho la dispensa vuota…>> Cominciò.

<<Ah, non è uscito. Ma ha chiamato la polizia?>> Perspicace, era perspicace, ma quanto lo irritava.

<<Mi hanno solo ftto perdere tempo!>> Si lagnò. Shirley lo guardò, era prevedibile…quasi quasi…

<<Venga, la cucina è da questa parte. Le offro il pranzo>> Gabriele la guardò stupito. Che razza di persona era?

<<Forse mi dovrei scusare…>> Lei lo fermò con un gesto della mano.

<<Non si preoccupi, e per informazione, non ho veleni in casa!>> Gabriele sorrise.

<<Bene>> Disse solo.

Il pranzo era stato migliore di quello che aveva creduto, a parte le mille domande, della sua vicina. Possibile che non si facesse mai i fatti suoi? Suo malgrado si era ritrovato a rispondere ad una grande quantità di domande. Scosse la testa.

<<Andiamo!>> Esclamò ad un certo punto la ragazza.

<<Dove, scusi?>> Si era forse perso un tassello della conversazione?

<<Ma nel suo appartamento! A caccia d’indizi!>> Si alzò e lui a malincuore la imitò

<<A caccia d’indizi>> Bofonchiò tra i denti.

<<Certo vuole aspettare che il mittente le faccia visita?>> Sembrava molto sicura di sé. Scosse la testa, lo irritava molto quel suo accento inglese, però dovette ammettere che aveva ragione.

<<E va bene!>> Acconsentì.

Shirley aveva messo in subbuglio tutto il suo appartamento, controllato tutte le entrate, scartabellando tra le vecchie foto e i documenti.

<<Conosce qualcuno fissato con le macchine da scrivere, o piuttosto con i caratteri particolari?>> Chiese Shirley.

<<No, ma che c’entra?>> Shirley sorrise.

<<Ci ho pensato tutta la notte, sa? Quella lettera, ne sono sicura. È stata scritta al Pc.>> Gabriele la guardò stupito.

<<Col computer?>> Shirley annuì.

<<Mi chiedo chi possa odiarla, tanto da mettere in scena una simile sciarada.>> Gabriele fece spallucce.

<<Non ne ho idea.>>

<<Chi è quest’uomo?>> Gli porse una foto spiegazzata. Gabriele la prese, e le volse le spalle. Brutti ricordi.

<<Un collega.>> Tagliò corto. Shirley si mise a camminare per la stanza.

<<Non vuole parlarne, ma forse è la chiave.>>Provò ancora a persuaderlo col suo odioso accento inglese, ma forse…

<<Non credo. È in carcere.>> Lei ci pensò su.

<<Perché?>> Chiese.

<<Ce l’ho mandato io.>> Shirley sbuffò. Doveva cavargli le parole con una tenaglia?

<<Perché?>> Chiese ancora.

<<Eravamo soci, e mi accorsi che toglieva denaro, dai fondi della nostra clinica.>> Negli occhi di Shirley passò un lampo.

<<Andiamo alla polizia. Ora.>> Disse.

<<Ora?>> Shirley, annuì.

<<Immediatamente.>> E quasi lo spinse fuori dall’appartamento.

Shirley faticò non poco a farsi credere dal commissario di polizia. Gabriele ammirò la sua grinta e la sua determinazione. Era uno scricciolo di donna, ma quanto al carattere era davvero un uragano, si ritrovò a pensare, per la seconda volta. Il commissario era un uomo burbero e autoritario, eppure lei, le mani sui fianchi, e gli occhi accesi, non sembrava affatto intimorita, e gli teneva testa con fare assolutamente naturale. Aveva una risposta per ogni obiezione del commissario e riusciva sempre a girare la frittata a sua vantaggio. Era astuta e furba e giocava bene le sue carte. Era davvero un osso duro e alla fine il commissario cedette.

<<E va bene! Sarà come dice, ma servono delle prove!>>

<<Venga con me!>>Il commissario scosse la testa.

<<Ma cosa dice!>>

<<Vuole le prove? Oppure le vuole cercare dopo che ha trovato il cadavere?>> Gabriele drizzò la schiena, e si augurò di cuore che il commissario le desse ascolto.

<<E va bene! >> Cedette il commissario, ma se avesse potuto, si sarebbe sbarazzato subito di Shirley.

Il commissariato non distava molto dalla casa di Gabriele. Quando arrivarono, trovarono Andrea Torbini, l’ex socio di Gabriele, che manometteva l’auto di questi. L’uomo fu arrestato, e portato via. Il commissario si girò verso Shirley.

<<Come l’ha capito?>> Shirley sorrise furba.

<<L’ultima parte della lettera diceva: “quando meno te lo aspetti, salterai in aria come hai fatto saltare me” e ho pensato che avrebbe agito, non appena Gabriele si fosse allontanato. Poi mi sono tornati alla mente due particolari.>>

<<Quali?>> Volle sapere il commissario.

<<Due inezie. Martedì avevo notato che la casa di fronte era stata affittata, e la lettera non aveva francobollo…per cui non era stata spedita.>> Fece una pausa. <<Quando il dott. Carlini mi ha parlato del collega, ho collegato gli elementi e tirato le somme!>>

<<Complimenti.>> Shirley fece spallucce e Gabriele le si avvicinò.

<<La ringrazio di cuore.>> Non avrebbe mai pensato di dirlo.

<<Si figuri, tra vicini è il minimo.>> Se ne andò sorridendo, soddisfatta di aver risolto anche quell’enigma.