QUALCOSA DI BELLO

QUALCOSA DI BELLO

Era solo davanti al computer, la testa che gli scoppiava. Si sentiva disperato. Sua figlia, finalmente si era addormentata. Sì, dopo aver pianto ininterrottamente. Più che altro, era crollata, sfinita. Era così tutte le sere, da quando sua moglie era morta. Faticava ancora ancora a crederci. Gli sembrava un incubo, dal quale non riusciva a svegliarsi. Eppure voleva svegliarsi. Si prese la testa tra le mani. Quella casa, era diventata vuota, e fredda, e avrebbe voluto distruggere ogni cosa, ogni più piccola cosa, gli facesse ricordare la moglie. Ricordare, era troppo doloroso. Soprattutto perché ancora faticava ad accettare la realtà. Avrebbe voluto sparire, lasciarsi tutto alle spalle, ma non poteva. C’era Sofia a cui pensare. Non poteva lasciarla e non aveva nessuno a cui affidarla. Certo, qualche parente, che ogni tanto provava ad aiutarli, c’era, ma interagire con la piccola, era diventato in possibile, anche lui faceva fatica. Non parlava, e se lo faceva era solo a stento, e non solo per via dell’età, prima dell’incidente si faceva capire molto di più, e poi, cosa peggiore, aveva sviluppato un vero e proprio terrore degli estranei. Dannazione! Alle volte gli sembrava che non si fidasse neanche di lui. E dire che le aveva provate tutte. Aveva chiesto aiuto a degli esperti, l’aveva iscritta in un asilo, che vantava personale con ottime referenze, e si era rivolto ad agenzie specializzare, per avere una baby-sitter qualificata ed esperta, con esperienza in casi come quelli di Sofia. Il risultato? Ormai, all’asilo non piangeva più, quando ce la portava, ma si metteva in un angolo, e restava lì, finché non l’andava a prendere. Di baby-sitter, ne avevano cambiate..non sapeva più neanche quante, tre solo nell’ultimo mese. E con ognuna di loro, non faceva che piangere, o nascondersi. Quando tornava dal lavoro, stanco, e distrutto, doveva lottare, per ogni cosa, perché di solito, la persona di turno, non era riuscita a farla mangiare, o a farle fare il bagno, o a farle lavare i denti, e di sicuro, neanche aveva provato a farle sistemare la stanza. A volte nessuna delle cose. E purtroppo, Sofia, non le faceva volentieri neanche con lui, forse perché erano cose che faceva con la madre, forse perché lui non ci sapeva fare. Dannazione! Non era facile neanche per lui! Cercò di calmarsi. Metterla a letto, era la cosa peggiore, aveva provato a farle tenere la luce accesa, a leggerle le favole, a tenere l’app, con le canzoni della buona notte, a farla dormire con sé, anche se qualcuno gli diceva che era sbagliato, ma nulla, si addormentava solo sfinita di pianto. Cosa poteva fare? E ormai, l’estate era vicina, l’asilo avrebbe chiuso, e quindi non sapeva dove portare la figlia per la mattina e il primo pomeriggio, l’ultima baby-sitter, era scappata via urlando, e non l’avrebbe convinta a tornare, neanche coprendola d’oro. Aveva telefonato a tre agenzie, specializzate, ma nulla di fatto, non avevano tate disponibili. Aveva cercato anche in rete, ma nulla. La sua ultima speranza, era un’agenzia che aveva scovato per caso, ma offriva solo baby-sitter par-time. Aveva comunque scritto, spiegando la situazione, e gli avevano risposto, che avrebbero provato a cercare una ragazza disponibile, ma già il termine “ragazza” lo rassicurava poco. E poi non sperava davvero in una risposta. Era sull’orlo di una crisi di nervi. Con una mano afferrò il mouse, e cliccò per entrare nella sua casella di posta elettronica, con l’altra si chiuse gli occhi, non aveva il coraggio di guardare. Trasse un respiro, non poteva comportarsi da codardo. Qualche pubblicità, maledetti filtri anti-spam, che non sempre funzionavano a dovere, i suoi estratti conto, mail di lavoro, qualche mail di parenti o conoscenti, e poi finalmente, la mail dell’agenzia. L’aprì con il cuore in gola. Le prime parole, “ Siamo spiacenti di…” gli tolsero dieci anni di vita. Ma si costrinse a leggere fino in fondo. Arrivato alla fine, trasse un sospiro. Avevano trovato qualcuno, ma si scusavano perché purtroppo, non era disponibile prima di tre giorni. Bene, almeno aveva il tempo di provare a far digerire a sua figlia, la notizia che sarebbe arrivata una nuova baby-sitter. Tre giorni. Prevedeva l’inferno, ma in quel momento si sentiva ottimista, forse perché aspettandosi l’ennesimo rifiuto gli sembrava fin troppo bello che avessero trovato qualcuno.

Stava aspettando la baby-sitter, era anche un po’ preoccupato perché quella sera aveva una cena d’affari, che non aveva proprio potuto rimandare, e il cielo sapeva se ci aveva provato. Sua figlia era scontrosa dalla mattina, non aveva neanche pranzato, sempre se non si potessero considerare, quei quattro cucchiai di cibo, che era riuscito a farle ingerire, il pranzo. Scosse la testa. Il campanello. Mai quel suono gli era parso tanto desiderabile. La donna era arrivata. Andò ad aprire con un gran sorriso, meglio non farsi vedere preoccupati, ma il sorriso morì all’istante, non era la tata, una ragazza, carinissima, ma giovanissima, stava sull’uscio.

«Guardi che ha sbagliato, il doposcuola è un piano più su.» Disse, freddo. Capitava che a volte si sbagliassero.

«Io sono qui, per il lavoro da baby-sitter.» Cosa? Quello scricciolo?

«È uno scherzo, vero? Ora si sposta, e mi presenta la baby-sitter vera, giusto?»

«Sbagliato. Io sono la baby-sitter, l’unica disponibile.» Lui la guardò. Non sarebbe durata neanche tre ore. Dannazione! L’avrebbe rispedita in dietro, ma aveva quella cena…

«Va bene entri, le pagherò il disturbo, la prego non faccia troppi danni, io ora devo uscire.» Lei lo guardò allibita.

«La bambina?» Chiese.

«Sì è nascosta come ha sentito il campanello. Odia gli estranei.» Perfetto. Pensò ironica, il padre, era un tipo assurdo, e la bambina, aveva un problema con gli estranei.

«Mi dica almeno dov’è la sua cameretta.»

«Piano di sopra, terza, porta, è quella dipinta di rosa.»

«Bene. Se deve uscire, esca. Posso arrangiarmi.» Disse con più sicurezza di quella che provava.

Lui tentennò un poco, non si fidava, ma poi capitolò non poteva farci niente. Domani, avrebbe risolto il problema. Dannazione! Perché per una volta le cose non andavano per il verso giusto?

Salì nella camera della bambina, sembrava deserta a parte l’enorme quantità di giocattoli, ma non le sfuggì, la coperta del letto alzata, e il piedino che spuntava da sotto. Fece finta di non accorgersene, si inginocchiò sul pavimento…lì c’era bisogno di un tappeto.

«Quanti bei giocattoli! Voglio giocarci, voglio giocarci!» Esclamò allegra. «Però è un peccato che non c’è nessuno che mi insegna…per esempio questi bei cubi colorati? Vediamo…no così non vanno…» Fece finta, di non riuscire a sistemarli, sapeva che lei la guardava, poi prese un altro giocattolo, e continuò la recita, fin quando, la piccola, un poco impaurita, non uscì da sotto al letto, a quattro zampe. Era bellissima, gli occhi grandi e i capelli, neri e ricci. Aveva pianto.

«Tu non tai giocare?»

«No. E tu?» La bambina, annuì, sedendosi, ma restando lontana. Provò a sorriderle.

Sofia si mostrava diffidente.

«Io sono Rebecca. Potresti insegnarmi?» la bambina la guardò di traverso. Sembrava carina, ma non si fidava. Si allontanò un poco.

«Capito. Ti sono antipatica. E non vuoi insegnarmi.» Però quella ragazza non sembrava arrabbiata, prese due cubi, senza dire nulla, e li mise uno sopra l’altro. Poi li girò verso di lei.

«Ah, allora è così che si fa! Grazie. Mi vorresti mostrare qualcos’altro?» La piccola, si guardò intorno, poi si alzò e andò a prendere un altro giocattolo.

«Teni. È Tappy»

«È bellissimo!!»

Poco a poco, facendo due passi, avanti e tre indietro per ogni tentativo, riuscì a stabilire un contatto con la piccola. Giocarono per mezz’ora, o poco più, e si avvicinava l’ora di cena. Cosa fare? Mettere in ordine, sarebbe stato logico, ma non per una bimba.

«Ehi, io ho fame. E tu?» La bimba ci pensò un po’.

«Tì.» Lei sorrise.

«Allora andiamo a mangiare. Ma prima, ci laviamo le manine, va bene?» Sofia, annuì poco convinta.

La cucina, era enorme, attrezzata e fredda. La bambina sedette sulla sua sedia, e si mise a guardarla, un po’ incuriosita, un po’ ostile. E Rebecca, immaginò che si stesse chiedendo quale intruglio le avrebbe propinato. Prese alcune, formine dalla sua borsa, e preparò due frittatine, leggere a forma di cuore e stella. La piccola, quando le vide rimase, stupita.

«Quale vuoi delle due?»

«Quetta» Indicò il cuore. Rebecca sorrise. «Va bene.» Ma passata la novità, si accorse che la piccola, non mangiava.

«Ti aiuto? Oppure facciamo un gioco?»

«Gioco?» Rebecca annuì. E si mise a tagliare la frittata a piccoli pezzi, poi fece l’aeroplanino. Un classico, ma Sofia si divertì.

E il gioco durò tutta la cena, eccezion fatta per la frutta.

«Sofia, si sta facendo tardi, mettiamo a nanna i giochi?» La bambina la guardò stranita, ma poi la seguì nella sua stanza. Dove Rebecca improvvisò uno strano rituale della buona notte, con lo scopo di mettere a posto i giocattoli.

«Sei stanca?» Le chiese. Sofia scosse la testa.

«Che ne dici di andare a giocare, nella vasca?» Aveva notato prima, che c’erano dei giochi appositi, in bagno.

«Pecché no». Rebecca le sorrise e la prese per mano.

Dopo il bagnetto, lei era più bagnata della piccola, per fortuna aveva un ricambio.

La bambina, guardava il letto, ma non si avvicinava. Le aveva fatto lavare i denti, e le aveva messo il pigiamino.

«Sofia, leggiamo una favola?» Le chiese, salendo sul letto per prima. La piccola la guardò, poi la seguì con un libro.

Rebecca, l’abbracciò di modo che potesse vedere le figure, e poi cominciò a leggere, facendo i rumori e cambiando voce, ogni tanto l’accarezzava. La piccola, sembrava davvero spaventata, e lei voleva rassicurarla. A poco a poco, scivolò nel sonno. Prima di addormentarsi, le chiese se sarebbe tornata, e lei le disse di sì, anche se in realtà non dipendeva da lei, ma dal padre. La baciò in fronte, un gesto spontaneo, per una bambina tanto dolce. E scese.

Entrò in casa, aspettandosi le solite urla, ma invece, silenzio. Cos’era successo? Chiuse la porta, e andò a cercare la “baby-sitter”. La trovò in cucina, che rassettava.

«Non è compito suo. Dov’è Sofia?»

«Non mi da fastidio, e mi tiene occupata. La piccola dorme.» Dormiva?

«Cosa? Di già? Avrà pianto tutto il tempo.» Lei lo guardò stupita, ma per chi l’aveva presa?

«Senta, la piccola ha mangiato…riordinato i giochi e fatto il bagno…poi l’ho messa a letto.» Lui la guardava. Non ci credeva.

«Sta parlando di Sofia? Mi prende in giro?»

«Non è stato facile, se intende questo. E mi dispiace ma non c’è stato verso di farle mangiare la frutta.» La frutta? Stava sognando? Era ubriaco?

«Voglio vedere mia figlia.»

«Non la svegli.» Lui la guardò scioccato.

Salì, piano, Sofia era nel suo lettino, con alcune bambole e dormiva. Sembrava tranquilla. Incredibile. Scese di nuovo senza fare rumore.

«A quanto pare le devo delle scuse.»

«Torno domani, prima di colazione…per le 7:30, così posso preparare tutto con calma, le sta bene?»

Lui annuì, e poi l’accompagnò alla porta. Era ancora incredulo. Ma l’indomani, si disse, avrebbe constatato di persona.

Rebecca si era presentata puntuale, e gli aveva ribellato la cucina, che ora profumava di dolci. Quando era andato ad aprirle, era appena uscito dalla doccia, giusto il tempo di infilare pantaloni e maglietta pulita. E lei era entrata come un uragano. Si era precipitata in cucina, aprendo quella specie di borsa da Mary Poppins e tirando fuori, quella che le era sembrata una quantità industriale di zucchero, farina e pentole e padelle. E in breve tempo si era messa a preparare pancake, cialde e chissà che altro. Erano cose, che si vedevano nei film, o al massimo nei cartoni.

Sofia, svegliata dal profumo, era scesa dal lettino, e aveva raggiunto la cucina. E ora era sulla soglia, con una manina si stropicciava gli occhi, con l’altra trascinava Tappy.

Quello che l’aveva scioccato però era vedere sua figlia, mangiare. Certo, aveva fatto i capricci, aveva scelto dei cibi, e poi aveva cambiato idea, ma poi aveva mangiato tutto. Rebecca sembrava avere una pazienza infinita. Per ogni protesta della piccola, aveva una risposta, ed un sorriso. Per la prima volta, andò a lavoro un poco più calmo. Sicuramente la ragazza, non era adatta, e non aveva esperienza, ma fin quando a sua figlia andava bene, lui non avrebbe fatto obiezioni. Sua figlia. Gli si strinse il cuore, era la prima volta in quei mesi, che si era svegliata senza urlare, e che aveva fatto colazione, con un po’ d’interesse. Era ancora presto però per esprimere un parere, magari quello della mattina e della sera prima, era stato solo un caso. Già altre volte si era sbagliato.

«Sofia, hai ancora fame?» La piccola la fissò per un po’.

«No.» Rebecca le sorrise.

«Allora, metto via queste cose, e poi ci vestiamo. Ok?»

la piccola annuì. Era un amore, col pigiamino e il pupazzo. Le sorrise, sincera.

«Cosa vuoi fare oggi?»

«Bho…» La piccola sembrava confusa.

«Cosa fai di solito?» La piccola la fissava stranita, come se non capisse.

«E…e…Ebecca…tei arrabata?» Chiese, guardando il pavimento. Certo che non era arrabbiata, ma di cosa aveva paura? Posò la pentola, si asciugò le mani e corse ad abbracciarla. Era così piccola, e calda, e profumava di buono.

«No, tesoro. Cercavo di capire che gioco fare. Se ti ho fatto paura, scusa.» Sofia ricambiò l’abbraccio, non subito, ma lo fece, e questo era importante. Voleva dire che si fidava.

«Va bene. E il gioco?» Rebecca le sorrise.

«E se invece andassimo a spasso e a comprare un tappeto?»

«Pappeto?» Rebecca sorrise.

«Tappeto. Sì, da mettere nella tua stanza, così, ci possiamo giocare sopra e leggere.»

Sofia annuì. Forse era un rischio portarla fuori, ma era una bella giornata e alla bambina avrebbe fatto bene un po’ di sole.

Era stanco. Ormai era ora di pranzo, e non osava chiedersi se Sofia avrebbe mangiato o meno. Entrò in casa, e rimase sorpreso, regnava il più completo silenzio. Cosa era mai accaduto? Forse la baby-sitter era andata via, e sua figlia si era nascosta? Dannazione. Seguendo un impulso andò prima in cucina, c’era uno strano profumo nell’aria, ma la cucina era pulita. Sul tavolo, però c’era un piatto coperto e un biglietto: “per il signor Leonardi” Qualcuno aveva pensato al suo pranzo, ma Sofia? Salì nella cameretta, della bambina, aprì la porta e rimase scioccato. Sua figlia e la baby-sitter se ne stavano sdraiate su di un enorme tappeto, che copriva tutto il pavimento, ma da dove diavolo era saltato fuori? Ma non era quello, certo che l’aveva sconvolto, quanto la scena. Sua figlia sembrava serena mentre ascoltava una favola, che la baby-sitter le stava leggendo. Poi la piccola, alzò lo sguardo e lo vide.

«Papà, io e Ebecca, abbamo compato un nuovo pappeto.» Da quando sua figlia non pronunciava una frase così lunga? E pensare che quella ragazza era lì da meno di un giorno.

«Lo vedo.» Sorrise a sua figlia.

«Ha bisogno di qualcosa?» Chiese Rebecca, non immaginava che sarebbe salito. Era naturale che volesse controllare, ma quella per la piccola doveva essere l’ora del pisolino, altrimenti non avrebbe avuto abbastanza energie per il resto della giornata.

«Dopo, se ha tempo vorrei parlarle.»

«Certo.» Lui sorrise ancora alla figlia e andò via. Era un tipo strano, ma aveva il suo fascino.

«Ebecca..stoia!» Rise e tornò a concentrarsi sul libro, che stava leggendo alla piccola.

Rebecca entrò in cucina, lui stava finendo il pranzo.

«Non sapevo, quando sarebbe tornato, se me lo chiedeva l’avrei riscaldato.»

«Va bene così. Non voglio che porti fuori Sofia.» Eh, e perché?

«Capisco, che non le sono in simpatia…ma…» Lui fece per interromperla.

«Sofia si agita e urla, quando siamo fuori. » Lei lo guardò stupito.

«Senta, io e Sofia, abbiamo camminato, siamo entrate in un negozio, ma non è successo niente…tranne…» E ora venivano i problemi.

«Tranne cosa? » Abbaiò senza farle finire la frase.

«Che la bambina, si è mostrata timida. Quando qualcuno le parlava, mi stringeva la mano, o si nascondeva dietro di me.» Lui sgranò gli occhi. Quando lui la portava all’asilo o le altre baby-sitter la portavano fuori, non si comportava così.

«Senta, mi sta mentendo?»

«Può chiedere alla piccola, quando si sveglia, come è stato uscire con me.»

«Quando si sveglia?»

«Sta facendo un riposino.» Questa sì che era una novità.

«Va bene. Quando si sveglia, parlerò con la piccola, e poi deciderò.» Rebecca provò a sorridergli, se non fosse stato per Sofia, si sarebbe già licenziata. Quell’uomo era odioso. Fece per andarsene, ma lui la fermò.

«Grazie per il pranzo. Era buono.»

«Non si preoccupi, ho cucinato per Sofia, e mi sembrava giusto farlo anche per lei.» Disse, prima di uscire dalla stanza. Voleva controllare la bambina e mettere una certa distanza, da quell’uomo così complicato.

Andrea, sedeva nel suo studio. Ormai, Rebecca era la baby-sitter di Sofia, da parecchi giorni, e i risultati cominciavano a farsi vedere. La piccola, era più sorridente, e aveva ripreso a parlare, tranne che con gli estranei. Quando qualche collega capitava a casa, o qualche amico, che la piccola, non vedeva spesso, si mostrava taciturna e spaventata, se c’era Rebecca in casa, correva da lei, se no, se ne stava in disparte, senza spiccicare parola. Era un po’ diverso, con le persone che conosceva meglio, e questo gli faceva ben sperare. A sua figlia, Rebecca piaceva tanto, e cominciava a piacere anche a lui. E questo non era un bene. Ruotò la testa per alleggerire la tensione del collo. Starsene chiusi in casa, non era l’ideale. E quella sera, nella città vicina, c’era la festa patronale…magari, avrebbe potuto farci un salto con Sofia…e Rebecca.

Le trovò in giardino a giocare a palla.

«Sofia, vieni un po’ da papà?» Chiese, sedendosi sui gradini.

«Che t’è?» Era un amore, da tanto non la vedeva così.

«Senti, ti andrebbe di fare una passeggiata, fuori città? C’è una festa patronale…» La piccola lo guardò confusa e incuriosita.

«Sofia, papà ti sta chiedendo, se vuoi andare con lui in un posto dove ci sono tante cose buone, le giostre e tante altre cose.»

«Fetta!! Fetta!!!!» Andrea Sorrise, e si rivolse a Rebecca.

«Vorrei che lei, venisse con noi, Rebecca.»

«Ecco…» Doveva accettare? Forse non era il caso…

«Veni? Veni?» Si poteva dire di no, agli occhioni dolci di una bambina tanto deliziosa?

«Sì, vengo.» Andrea si alzò.

«Vado a prendere la macchina.» Disse sorridendo.

La serata era abbastanza calda, e l’atmosfera era molto colorata. Si stavano divertendo. E dopo tanto tempo si sentiva sollevato. Rebecca, era dolcissima con Sofia, e la bambina sembrava divertirsi un mondo, mentre guardavano le bancarelle e le luci colorate. Si sentiva in pace, e felice. Sua figlia, sembrava tornata quella di prima, una bambina spensierata e allegra, che allungava le manine su qualsiasi cosa potesse, e si incantava guardando i giocattoli. Le avevano preso un gelato, e si erano seduti su di una panchina, ad osservare la gente che passeggiava, accanto a loro c’era un bambino più grande di Sofia, col padre, che piagnucolava. Non ci diede troppo peso, anche perché era troppo occupato ad osservare Rebecca, che stava pulendo, il visino di Sofia, tutto impiastricciato, di cioccolato. Sembravano proprio mamma e figlia. Si bloccò. Non era un pensiero che poteva permettersi.

Poi il bambino accanto a loro, si mise a piangere più forte, e anche Sofia si mise a guardare. Chissà che pensava sua figlia? Si chiese.

Una figura, di donna, si avvicinò al piccolo, che smise subito.

«Mamma è tornata.» Gli disse. Sofia si girò verso di lui, gli occhietti lucidi, dannazione, cosa era accaduto?

«Anche mamma tonna?» Chiuse gli occhi, prima di risponderle. Si chinò alla sua altezza.

«Sofia, te l’ho spiegato, la mamma è in cielo.» La piccola lo guardò confusa, alzando gli occhi al cielo e poi fissandolo. Sarebbe scoppiata a piangere, e lui si sentiva perso. Dopo qualche attimo, sentì la voce di Rebecca, ma strano era più distante.

«Sofia, guarda, cosa sono?» Aveva un sacchetto di caramelle di zucchero colorate.

«Telle!!! Tante telline!!!» disse tirando su col naso.

«Sì! E te le manda la mamma.»

«Dal cielo?»

«Sì. Sai queste, sono speciali…le puoi mangiare!»Sofia abbracciò Rebecca. Poi si voltò verso di lui.

«Papà! Vitto? Le manda mamma!» Sembrava più tranquilla ora. E lui si sentiva uno stupido. Cosa avrebbe fatto senza Rebecca? Ma era giusto? Di dubbi ne aveva molti, ma vedere sua figlia sorridere compensava molto. Si avvicinò alla baby-sitter.

«Grazie.» Rebecca sorrise.

«Sofia, è troppo piccola…deve abituarsi un po’ alla volta. Non è facile digerire una cosa così.» Lui annuì.

«In realtà molti dicono che è meglio essere onesti.» Rebecca scosse la testa.

«Un conto è essere onesti, un altro distruggere il mondo di un bambino. Sofia, capirà crescendo, ma ora, è più serena.»

«Sì, è vero. Forse dovrei parlarle di più di Monica, ma è doloroso anche per me.»

«Mi creda, guardare avanti, non vuol dire dimenticare il passato, anzi.»Rebecca sorrise, e a lui venne da pensare che era davvero bellissima, quando sorrideva. Ma erano pensieri che non poteva permettersi.

« Ma lei quanti anni ha?»

« Ho 20 anni, ma non è un problema di età. Mi creda, l’età è sopravvalutata!»
«Non ho mai visto Sofia così felice.»

« È una bambina dolcissima.»

«Lo so…eppure…negli ultimi tempi mi è sempre stato detto… Che è una bambina difficile.»

«Sofia? Senta, la bambina ha solo bisogno di essere ascoltata.»

«Lo crede davvero? Mi sono rivolto ad esperti…»

« Non tutti siamo uguali, non tutti abbiamo gli stessi tempi. Ma lei parla al plurale, giusto? Quindi tutti gli “esperti” le hanno detto la stessa cosa, vero?»

«Sì.» ammise amaro.

«Vede, è più facile ragionare per modelli. Solitamente chi definiamo esperto, ha un background, definito di situazioni alle spalle. E non fa che ripeterle. »

«Quindi dovrei diffidare degli esperti?»

«No, dovrebbe chiedersi quante volte hanno fallito.»

«Se fosse accaduto solo una volta… »

« È qui che sbaglia…è successo tante volte, perché i metodi si assomigliano, e chi viene dopo si basa sul giudizio di chi l’ha preceduto. »

«Ma lei no.»

«Io no. Quando ho visto Sofia, mi sono sciolta.»

«È bella, vero? Cosa dovrei fare?»

« Passi del tempo con lei. Le mostri foto della madre, e non si aspetti che elabori il lutto dall’oggi al domani.»

«Non so perché, ma il suo mi sembra uno dei discorsi più sensati, che ho ascoltato.»

«Forse perché ho osservato bene Sofia. O forse perché ho già dovuto affrontare alcune difficoltà. Sono quelle, che ti fanno crescere.» Avrebbe voluto parlarle ancora, ma Sofia, chiedeva attenzioni, e Rebecca, sembrava essersi dimenticata di lui. Vederla con la figlia gli faceva un effetto strano, e nel contempo, gli apriva il cuore. Ma erano pensieri che non poteva permettersi.

La bambina si era addormenta, felice, dopo aver mangiato alcune “stelline”. E lei si stava affezionando come non mai. Non poteva farci nulla… Sofia era dolcissima, e chiedeva solo un po’ d’affetto. Il padre, era un uomo meraviglioso, ma molto impegnato, che ancora non aveva superato la perdita della moglie. Sospirò. Era complicato il suo ruolo, e forse stava sbagliando tutto. Doveva tenere le distanze, ma era difficile, con la bambina non ci riusciva, la sentiva un po’ sua, e sentiva anche di amarla, e più passava il tempo più questi sentimenti, crescevano. E poi c’era il padre di Sofia. Non avevano mai tempo di parlare, ma quando accadeva, c’era una certa sintonia, a discapito, del loro primo incontro. Al pensiero, sorrise, entrando nel salotto.

«Come mai sorride?»

«Ripensavo al nostro primo incontro…»

«Immagino che le debbo delle scuse.»

«Non ce ne è bisogno, mi creda.»

«Grazie. La bambina ha faticato ad addormentarsi?»

«No. Ma prima ha voluto delle ” stelline “.»

«La sua trovata, mi ha salvato.»

«I bambini hanno bisogno di immagini semplici e di un po’ di sogni.»

«Eppure mi chiedo se sia giusto… Sofia crescerà…»

«Appunto. Crescerà e capirà che le caramelle, sono solo caramelle, ma le ricollegherà per sempre ad oggi e alla madre, e questo l’aiuterà a ricordare. Per questo è importante che abbia bei ricordi.»
«Sei molto saggia.» Le disse, passando al tu. Voleva accorciare le distanza in qualche modo.
«Non sono saggia,
è solo che ho imparato a cavarmela. E i bei ricordi, mi hanno aiutata.»
«Certe volte mi ricordi Monica, mia moglie. Anche lei, era solare e sapeva come me prendere Sofia.»
«Sono felice, di essere riuscita ad avvicinarmi alla piccola.»

«Perché sei diversa, e Sofia l’ha capito subito.»

Rebecca, non rispose. Lui era particolarmente enigmatico, e lei non osava leggere tra le righe. Aveva paura, perché , quello che in verità voleva, accadeva solo nelle favole.
«Non parli più?»

«Non riesco a risponderle…rischierei solo di dire banalità.»

«E va bene. Ma che ne dici di darmi del tu? Ti sembro così vecchio?»

«Sì, cioè no…quello che volevo dire è che va bene. Le…ti darò del tu»

.«Ecco…dimmi stasera ti sei divertita, o avresti preferito fare altro?»

«Non avrei voluto essere da nessun’ altra parte, se non dov’ero.» Rispose, di slancio.
«Ne sono lieto. Ma ora credo che devo lasciarti libera, si è fatto tardi. Vuoi un passaggio?» Forse

avrebbe dovuto rifiutare… Ma la piccola dormiva…e lei voleva parlare ancora un

po’ con lui… E poi casa sua non era molto lontano…

«Solo se non ti è d’impiccio.»

«Al contrario!»

«Allora va bene.»


Il tempo era volato via…e l’estate stava quasi per finire. Andrea si passò una mano tra i capelli. In quei mesi era accaduto di tutto. Sospirò. Il suo mondo era andato gambe all’aria, ma in compenso si sentiva più sereno, felice quasi. Sua figlia aveva ritrovato un po’ di stabilità, e di gioia, il loro rapporto era più facile, ed aperto. Anche parlarle di Monica era divenuto più semplice. Ma sapeva che il merito di tutto era la presenza di Rebecca. Era giovane, forse troppo, ma aveva saputo come raddrizzare le loro vite. Senza di lei, nulla di quello che era accaduto sarebbe stato possibile. Ma non poteva illudersi oltre, né poteva continuare a quel modo. Santo cielo, cosa doveva fare? Negli ultimi tempi, anche le cose con Rebecca erano mutate. Avevano cominciato a parlarsi di più e si erano avvicinati tantissimo. Al punto che lui si era innamorato. E non c’era cosa più stupida che potesse fare. Dannazione! Sapeva che lei era lì per la bambina, e che se avesse fatto qualcosa, lei se ne sarebbe andata, e Sofia avrebbe perso, per la seconda volta, una persona molto importante per lei. Ma come poteva, starle accanto e tacere? Quei pensieri lo stavano torturando. Sospirò ancora. Qual’era la scelta giusta. Si passò una mano tra i capelli, ancora una volta, era confuso. La presenza di Rebecca era un bene per Sofia, ma anche per lui. Era abituato a vedersela arrivare il mattino presto, per preparare la collazione, così come era una bella abitudine, quando era a casa, restare ad ascoltare le risate della piccola e di Rebecca, che riempivano l’aria. E la casa. Scosse il capo, era accaduto tutto così in fretta, lo sapeva, ma non poteva cambiare la realtà delle cose, così come non poteva ignorare il sentimento che provava per quella ragazza, e che cresceva, di giorno in giorno. Ormai era deciso le avrebbe parlato, e che il cielo lo assistesse!

Rebecca aveva messo a letto Sofia. Ormai, erano legatissime e forse, era un male, lei era solo la baby-sitter, ma non era riuscita ad evitarlo. E poi… In realtà ad essere cresciuto non era solo il suo rapporto con la piccola, ma anche quello col padre. Andrea era davvero un uomo valido, con molte qualità, e non sapeva, quando era accaduto di preciso, ma si era innamorata di lui. Sapeva che era una sciocchezza, che non sarebbe mai dovuto succedere, ma era avvenuto. Occuparsi di lui e di Sofia era qualcosa che faceva con immenso piacere, e tra lei e lui si era creata un certa complicità. Quasi sembravano una vera famiglia. Ma era solo un illusione, sulla quale non poteva permettersi di indugiare. Sorrise guardando Sofia che dormiva tranquilla. Andrea le aveva detto che doveva parlarle…e questo la rendeva un poco agitata. Inizialmente doveva restare lì solo per l’ estate…e in cuor suo sperava che lui le avesse permesso di continuare. Stargli accanto, senza potergli essere davvero vicina, era una tortura ma non voleva staccarsi da Sofia.

Andrea sorrise, quando lei entrò nella stanza.

«So che vuoi parlarmi, ma prima devo assolutamente chiederti una cosa.» gli disse. Lui sembrava teso.

«OK. Dimmi tutto.» Rebecca prese il coraggio a due mani.

«Io vorrei continuare ad occuparmi della bambina… » le parole le si spensero a poco a poco nella gola, vedendo lo sguardo di lui, rabbuiarsi. Che volesse mandarla via?

«Sono felice di quello che hai detto.» Però non sembrava, pensò Rebecca.«E vorrei tanto che restassi ad occuparti di Sofia..» Continuò lui.

«Ma qual’è il problema, allora?» Chiese lei, preoccupata e sorpresa.

«il problema, è che temo scapperai via, appena sentirai quello che ho da dirti.» Lei lo guardò un po’ confusa, che razza di discorso era?

«È qualcosa di così terribile?» Chiese.

«Mi sono innamorato di te.» Le rispose a bruciapelo.

Rebecca non rispose. Il suo cuore mancò qualche battito.

«Ecco vedi…» Cominciò col dire Andrea, ma lei lo bloccò subito.

«Ti prego, potresti ripetere? Temo di non aver capito bene.» Lui la guardò in viso sembrava confusa…non voleva sperare che…ad ogni modo se voleva che lo ripetesse, l’avrebbe fatto, probabilmente era l’ ultima occasione che aveva di dirglielo.

«Ti amo.» Gli occhi di Rebecca si sgranarono per la sorpresa.

«Allora è vero…non sto sognando?» Lui le andò più vicino.

«Forse sono io quello che sogna. Non ti da fastidio?»

«No. Anch’io ti amo.» gli disse con sincerità.

«Ma io sono molto più grande di te.»

«Non provare a farmi ragionare. Ti ho già detto una volta, che l’età non conta, no?»
«Allora resterai al mio fianco, con Sofia?» Cosa mai avrebbe potuto chiedere di più

«Per sempre!»

L’attimo dopo erano stretti in un abbraccio intenso, le labbra unite in un dolcissimo bacio.