L’AMORE ALL’IMPROVVISO-Seconda Parte

L’AMORE ALL’IMPROVVISO- SECONDA PARTE

La sveglia, la strappò ai suoi sogni. O per meglio dire, incubi. Si alzò, si vestì rapidamente, e mise i libri in cartella. Era stanca, e arrabbiata, con tutti, anche con sé stessa. E non riusciva a togliersi dalla testa, il bacio della sera prima. Stava per uscire, quando si ricordò di non aver preso il cellulare. Che strano, si era scordata di metterlo in carica. Si mise a cercarlo nella giacca, ma non c’era. Dannazione! Allora, guardò nella borsa…dove diavolo l’aveva messo? In un minuto, mise a soqquadro tutta la stanza, ma del cellulare, neanche l’ombra. E se l’avesse perso? Schizzò via dalla stanza, senza dire una parola. Era in ritardo, e aveva paura, di litigare ancora con i genitori.

Appena, le fu possibile, durante la terza ora, lasciare l’aula, fece una corsa, per oltrepassare il cortile, e raggiungere l’altro istituto, quello dove studiava Caterina. Era in preda al panico. Per fortuna, sapeva che a quell’ora loro avevano ginnastica.

«Cat! Cat!» Chiamò a gran voce appena vide, la sua migliore amica.

«Oh, ciao, ma che ci fai qui? Non avete lezione, voi ora?»

«Sì, sì, ma per fortuna, c’è la supplenza…ho lasciato il cell da te?»

«No! Se no te l’avrei detto. Hai provato a chiamare il tuo numero?»

«No…non ho detto a nessuno di averlo perso…»

«Già ti capisco..dirlo ai tuoi, sarebbe stata una pessima idea..senti, dopo la scuola, ti presto il mio…così proviamo a vedere se lo recuperiamo!»

«Ok…grazie…non vedo l’ora che la scuola finisca!»

«A chi lo dici! Ci sentiamo, dopo.»

«Sì. A dopo.»

Mentre tornava in classe, teneva gli occhi bassi, sperando di non essere notata, dal giorno prima era diventata lo zimbello dell’istituto, e non poteva sopportarlo. Era così arrabbiata! Ma si sentiva anche depressa.

All’uscita di scuola, Caterina, l’aspettava al cancello, col cellulare in mano.

«Tieni, togliamoci questo dente.» Cat, era sempre stata un tipo molto diretto.

«Sicura? Sai…non so se è una buona idea….»

«Ne hai un’altra, per caso?»

«No…»Teneva gli occhi bassi.

«E allora, forza! È inutile aspettare.» Prese il cell, di Cat, e compose il suo numero…aveva il cuore in gola, e non sapeva se augurarsi che qualcuno rispondesse, o no.

Al secondo squillo, una voce, rispose. Calda e profonda.

«Pronto?» Non poteva essere!

«P..pronto? »

«Mi rifai il vero? Chi sei, il bel faccino di ieri?» La rabbia le salì al volto.

«Allora tu mi hai fregato il cellulare!»

«Non saprei che farmene. Sei tu che ti lasci dietro i pezzi.»

«Idiota! Voglio che me lo restituisca subito.»

«Ah, lo rivuoi? Be’ se ci tieni tanto…vieni a prenderlo.»

«Cosa!?! E che significa.»

«Quello che ho detto.»

«Dove?»

«A casa mia. Hai, presente, il teatro, quello, dietro al municipio? Bene, terza strada, quarto palazzo. Non puoi sbagliare.» Ma chi si credeva quello lì? Ma il cellulare le serviva…Cielo cosa doveva fare?

«Stai scherzando?»

«Mi trovi, qui, fino alle tre e mezza. Ti consiglio di sbrigarti.»

«Senti, io devo tornare a casa…»

«Questione di priorità. Se non ti serve, puoi lasciarlo qui, tanto, nessuno lo ruba.» Dannazione! E se i suoi genitori l’avessero cercata? Doveva recuperarlo, ma aveva solo un’ora di tempo, e doveva tornare a casa…a meno che…

«Va bene. Arrivo subito.» Chiuse la chiamata e si girò verso Caterina.

«Cat, posso chiamare i miei e dire, che vengo a pranzo da te?»

«Sì, certo. Non ti preoccupare, tanto oggi i miei non ci sono. Ma hai trovato il cell?»

«Sì. L’ha trovato un ragazzo…mi ha detto di andare a casa sua a riprenderlo…c’è un autobus che ferma vicino al quartiere nuovo?»

«Intendi quello dietro al comune?»

«Sì. Certo…»

«Be’ il 15, ma passa tra dieci minuti, più o meno.»

«Ok…»

Chiamò, casa, avvertendo che restava a pranzo fuori, e che aveva il cellulare scarico. Era agitata. Non le piaceva mentire. Quando chiuse la chiamata, restituì il telefono all’amica, promettendole che l’avrebbe chiamata, appena recuperato il suo e schizzò via, verso la fermata.

Come avrebbe fatto a guardarlo in faccia? Ma forse, l’aveva lasciato al portiere…quella era una zona, molto esclusiva, e i palazzi avevano tutti un portiere, lo aveva sentito dire, ma non ci era mai stata. Chissà perché, se abitava lì, l’aveva incontrato nel quartiere dove abitava Cat? Ma in fondo non erano affari suoi, e non voleva affatto pensare a lui, o a quello che era successo la sera prima. Quello che voleva era solo riavere il suo cellulare e dimenticarlo. Ecco che voleva. Il tragitto le sembrò durare in eterno.

Il palazzo, era enorme. Un portiere, la fece entrare in un atrio immenso. Lei era disorientata…dannazione non sapeva neanche di chi chiedere! Come faceva?

«Io sono qui…per il cellulare…» Provò a dire, odiando il suo tono insicuro.

Lui si avvicinò ad un interfono, lo sentì parlare con qualcuno, poi sentì una voce nota, dire.

«Ah, è arrivata! Bene. Dille di salire. 6° piano.» Il portiere le sorrise.

«Venga, l’ascensore è da questa parte.» Lo seguì come un’automa. Salire? Non voleva salire, perché diavolo non era sceso lui? O non aveva lasciato il cellulare al portiere? In fondo l’aveva avvisato…

Le porte si aprirono su di un pianerottolo enorme, sul quale c’era un’unica porta, aperta. Ma di lui non c’era traccia. Che doveva fare? Si avvicinò all’uscio, con cautela.

«Si può?» La voce le uscì bassa e un po’ strozzata, come se avesse paura, e infatti ne aveva. Si odiò anche per questo.

«Vieni, avanti e mettiti comoda. Sarò lì tra un minuto.» La voce di lui le era giunta, un po’ lontana. Entrò. L’atrio era enorme, e si apriva su di un corridoio, dove si affacciavano molte porte. Due erano chiuse. Le altre no. La prima, dava su di un salotto. Decise di entrare lì…ma perché lui la stava facendo aspettare? Era un cafone! Ecco cos’era…si guardò intorno, era intimidita, da tutto quello…

«Eccomi. Scusa, se ti ho fatto aspettare, ero sotto la doccia.» Si girò verso di lui. Era a piedi nudi. Indossava un paio di jeans, e una camicia, totalmente aperta. I capelli erano bagnati. Distolse lo sguardo, fissandolo sul camino.

«No..no…il mio cellulare?» Balbettò. Dannazione. Tutto si poteva aspettare, ma non di vederlo mezzo nudo.

«Quanta, fretta! Siediti.» Lui si sedette su di una poltrona, reclinando il capo all’indietro, perfettamente a suo agio. Lei invece si sentiva inquieta. Sedette sul bordo del divano, rigida. Voleva andare via! Perché non le restituiva il telefono, e non la faceva finita?

«Sei tu, quello che ha fretta.» Disse aspra.

«Abbiamo mezz’ora…» Sorrise.

«E che vuol dire?» Chiese spaventata.

«Che, non c’è fretta. Ma dimmi, perché è così importante il cellulare?»

«Ma che razza, di domanda! E poi, che t’importa? Restituiscimelo.»

«L’ho lasciato di là…» Sorrise.

«Allora prendilo!» Lui sorrise pigramente. E si alzò, piano.

«Se è questo quello che vuoi…» Lo vide sparire in corridoio. Certo che era quello che voleva! Che strano tipo che era… e certo molte lo avrebbero trovato attraente, o perfino bello…ma era anche un’imbecille! Lui ritornò subito, col cellulare in mano. Lei allungò una mano, pensando che gliel’avrebbe restituito, invece lui, tornò a sedersi in poltrona, come nulla fosse, tenendo il cellulare tra le mani e rigirandolo, come se fosse completamente assorto, quasi si fosse dimenticato di lei.

«Allora? Il cellulare?»

«È qui, no? Se vuoi, vieni a prenderlo»

«A che gioco stai giocando?»

«A nessuno.» Arrossì dalla rabbia. Lui era odioso.

«Senti, sono stanca. E ho bisogno del cellulare.»

«Sai cosa devi fare.» Scosse la testa alzandosi. Gli si avvicinò.

«Contento?» Lui sorrise furbo.

«Più o meno…» L’attrasse contro di sé, e lei si ritrovò seduta contro di lui, le teste vicinissime. Per un attimo pensò che lui l’avrebbe baciata di nuovo, e il suo cuore prese a battere, ma lui non lo fece.

«Puoi rendermi il cellulare, ora?» Chiese, con un filo di voce, non capiva perché ad un tratto si sentiva mancare l’aria.

«Hai paura che il tuo ragazzo, ti abbia chiamata?»

«Cosa? Io non sono fidanzata!»

«Ah, davvero? E quello che hai sullo sfondo, del cell, chi è?»

«A te non deve riguardare…»

«Mha, lo dicevo solo perché ha un aria, da deficiente. Meglio per te, se non stai con uno così.»

«Come ti sei permesso di guardare il mio cellulare? E comunque lui è molto più intelligente di te! È un ragazzo favoloso…e se non stiamo insieme…»

«E se non state insieme?» La incalzò lui.

«Ma di che ti impicci tu?» Gli strappò il cellulare di mano, e si allontanò da lui. Sapeva di apparire goffa, ma non le importava.

«Curiosità…sembrava una storia interessante…un po’ come quei filmetti strappalacrime… dimmi, è fidanzato o sta per partire?»

«Semplicemente…non sono abbastanza per lui…» Cielo, perché l’aveva detto?

«Forse ha ragione. Di sicuro sei una stupida.»

«Come? Come osi, criticarmi tu?»

«La verità brucia, vero? Solo una stupida, può difendere un simile imbecille.»

«E tu di imbecilli, te ne intendi, vero?»

«Hai, il cellulare, perché non ti fai venire a prendere da lui?»

«Quello che farò uscita di qui, sono solo affari miei.»

«Avete litigato? »

«No.» Lui la guardò scettico.

«Senti, nessuno tiene una foto come sfondo del cellulare, se non è importante.»

«È uno sfondo come un altro. E sono affari miei.»

«Ragazza, sei confusa davvero!»

«Mi lasci in pace?» Gli voltò le spalle, non voleva piangere, non davanti a lui. Strinse i pugni. Lui le si avvicinò. Stringendole la vita, e appoggiandole il viso sulla spalla.

«Se piangi, per causa mia, allora, ti chiedo scusa. Se stai piangendo per lui, sei una sciocca.»

«Non sto piangendo.» Mentì, pur sapendo di non poter essere convincente. Lui la strinse di più.

«Fingerò che è vero. Ma sappiamo bene, tutti e due, che non è così.»

«Sei un mostro.»

«Dovresti pensarlo di lui. Se è vero, che tra voi non c’è e non c’è stato niente, mi spieghi perché lasci che lui ti insulti?»

«Io non devo spiegarti proprio niente! Capito?» La voce, era rotta. Cavolo, come si odiava in quel momento!

«Dammi un minuto e ti accompagno a casa, ma ricordati, se ti lasci avvilire da quello, la colpa è solo tua:» Lui sparì di nuovo in corridoio e lei rimase da sola. Ma come si permetteva quello di lanciare sentenze su di lei? Era solo un imbecille. E ora che aveva di nuovo il cellulare, faceva bene, a dimenticarlo.

Se ne stava nella sua stanza, la luce, accesa e il libro aperto. Ma non riusciva a studiare. Nella testa, aveva ancora i rimproveri di sua madre. Ma quello che le faceva davvero male, era il fatto di essere venuta a conoscenza, di una serie di messaggi, che giravano sulla chat della scuola, sul suo nome. Stava da cani, avrebbe voluto sfogarsi con qualcuno, ma con chi? Neanche Caterina, l’avrebbe capita, di questo ne era sicura, e poi stava male, anche per quello che era successo nel pomeriggio. Odiava quel ragazzo, eppure non riusciva a dimenticare le sue parole: “Se ti lasci avvilire da quello, la colpa è solo tua”, faceva facile lui, a parlare…ma che ne sapeva lui…era solo uno sconosciuto senza nome, che sputava sentenze, e che le aveva rubato un bacio, il primo. Dannazione, perché ci pensava? Il telefono squillò. Chi poteva essere? Sul display, compariva il nome, Cris. Ma lei non aveva registrato nessun contatto con quel nome!

«Pronto?»

«Ciao, che fai?» Era lui?

«Studiavo, ciao» Voleva chiudere lì una conversazione che non voleva.

«Non chiudere.»

«Non voglio stare ad ascoltare i tuoi insulti!»

«Ho chiamato, per scusarmi. In fondo la vita è tua, e se vuoi rovinartela, non sono certo affari miei.» La frase la colpì più forte di uno schiaffo.

«Accetto le scuse…»

«Stai bene?»

«Certo!»

«Hai la voce, strana. È successo qualcosa?» Tutto, era successo tutto.

«Niente.»

«Puoi uscire ora?»

«Be’…sì…potrei…credo…»

«Ok, tra mezz’ora, al bar sotto casa tua.» Chiuse la conversazione. Le girava la testa. Quindi quel ragazzo si chiamava Cirs…ma cosa aveva fatto? Perché gli aveva detto che poteva uscire? E a quando pare, poi lui aveva messo le mani sul suo telefono…Che maleducato! Sì, ma ora che faceva? Se fosse andata, al bar, ma lui non ci fosse stato? Non ne poteva più di fare la figura della stupida…e poi stava ancora male, per quello che aveva letto sulla chat, del sito della scuola…

si alzò dalla sedia, forse era meglio prepararsi…non che avesse intenzione di mettersi in ghingheri, ma almeno, voleva evitare di farsi vedere con gli occhi rossi e gonfi…

Entrò nel bar, cercandolo con lo sguardo… ma lui non c’era…che stupida…che era stata. Non imparava mai? Fece per andarsene, ma poi ci ripensò. Perché tornarsene subito a casa? In fondo era lì. Ordinò qualcosa da bere, e andò a sedersi ad un tavolo, d’angolo. Non voleva essere vista. Quel bar era frequentato anche da gente che conosceva. Per un po’ stette a guardare il bicchiere sospettosa, poi fece, per portarselo alle labbra, ma una mano la bloccò.

«Allora, sei stupida davvero!» Lui era lì. Le tolse il bicchiere.

«Come ti permetti?»

«E dimmi, è tua abitudine stordirti con quella roba?»

«Le mie abitudini non ti riguardano…e poi stordirmi….esageri.»

«Quel cocktail, ha un tasso alcolico da paura!»

«Ah, sì? E come fai a saperlo?» Lui sorrise, ironico.

«È uno dei miei preferiti..»

«Se va bene per te…»

«Non va bene, per te. Fidati. Allora, ragazza vuoi dirmi come ti chiami?»

«Laura. Tu invece sei..Cris…»

«Il nome per intero è Cristiano, ma se lo usi ti strozzo.» Sorrideva.

«Ok…ok…» Provò a sorridere, ma sapeva di risultare patetica. Si sentiva a pezzi.

«Perché hai pianto?»

«Non ho pianto.» Mentì.

«Non dire stupidaggini…anche al telefono eri strana…altrimenti non sarei qui.»

«Ma a te che importa?» Lui sorrise.

«Forse niente…o forse no. Ma tu non stai affatto bene. Se ne accorgerebbe anche un cieco.»

«Lasciami in pace..» Lui si appoggiò meglio alla sedia, e prese a sorseggiare il drink che lei aveva ordinato.

«Ehi, quello è il mio drink.»

«Ma non fa per te…piuttosto, dimmi che è accaduto.»

«Ficcatelo in testa! Non è successo niente, e poi non ti riguarda.» Le lacrime, cominciarono a rigarle il viso. Dannazione! Voleva nascondersi.

«Falla finita. Piangere, non ti servirà a niente. Solo a farti sembrare sciocca.» Cercò di ricomporsi…ma era difficile…

«Fai facile a parlare tu…»

«Allora, Laura, dimmi cosa non va.» La sua voce decisa, le penetrò nel cervello, facendo scattare una molla dentro di lei.

«Si tratta di qualcosa…che…che è stato detto nella chat della scuola…»

«Centra, quel cretino, che hai sul cellulare?»

«Sì…anche…ma vedi…lui…»

«Dammi il cellulare.»

«Perché?»

«Subito.» Lei riluttante ubbidì.«Bene, vediamo un po’…»

«Che stai facendo?»

«Stai piangendo per lui, immagino che non abbia scritto dei complimenti, no? Quindi cancello le sue foto…»

«Senti io non voglio, tu sbagli…il fatto è che ha saputo che mi piaceva nel modo peggiore…gliel’ha detto la mia amica di banco…»

«Tu ti confidi con una persona simile?»

«No…ha visto il mio diario…l’ho lasciato sul banco.»

«Sei stata incauta, e stupida, non si scrivono certe cose o mettono foto, nel diario di scuola…né tanto meno si lascia poi questo in giro.»

«Ero..dispiaciuta per dei brutti voti… non ero lucida.»

«Non cercare giustificazioni. Hai sbagliato punto. Cosa è accaduto?»

«Sono diventata lo zimbello della scuola…»

«Stai al liceo, vero?» Lei annuì.

«Sì. Secondo anno…»Sorrise…

«E lui?»

«Lui è più grande, sta al quarto. Cosa, ho di sbagliato?»

«Che domanda, sciocca! Non hai niente di sbagliato, sei solo un po’ stupida!»

«Grazie! Questo sì, che mi tira su, ma chi cavolo ti credi di essere?»

«Ah, allora hai un po’ d’amor proprio…»

«Come scusa?»

«Pensavo che la tua natura fosse quella di fare da zerbino agli idioti.»

«Come ti permetti?»

«La domanda giusta, è come permetti a lui, di calpestarti.» Le sorrise.

«Non lo so…ma lui…è uno degli studenti migliori e poi…è così carino…»

«Che discorso scemo. Pensa a vivere.»

«E tu, cosa ne sai?»

«Più di te…dimmi, se indovino…prima di me, non ti ha baciata nessuno.» Incurvò le labbra in un sorriso malizioso. Lei impallidì, poi si fece rossa come un peperone.

«Io….»Lui rise.

«Non dire niente. Lieto di averti dato la tua prima lezione d’amore…»

«Stupido, presuntuoso cafone!» Lui rise ancora. Ma di cosa era fatto? Ferro?

«Sarà, ma almeno ho sangue nelle vene, e non sono un verme. Io.»

«E chi sarebbe un verme?»

«Quello per cui sbavi. Ma sai che ti dico? La tua è una malattia… ma io ho la cura…»

«E sarebbe?»

«Non ora.»

«Che vuoi dire?» Ad un tratto era spaventata.

«Usciamo di qui.» La prese per un braccio, e dopo aver saldato il conto, la portò fuori dal locale.

L’aria della sera, era pungente.

«Che…che…intendevi?» Balbettò.

«Questo.» La strinse, a sé e la baciò con passione. Un bacio duro, esigente, al quale lei rispose con un trasporto mai sperimentato prima. Quando lui la lasciò faceva quasi fatica a respirare.

«Cris…» Si appoggiò a lui, neanche sapeva il perché di quel gesto, ma lui, la strinse, un po’ e questo le piacque molto.

«Va’ a casa ora. E mettiti sui libri. Dopo ti chiamo.»

«Dove vai, ora?» Che domanda stupida. Cavolo!

«Perché?» Lui sembrava sorpreso, e lei non voleva fare la parte della stupida…

«Sono curiosa. Tutto qui…in fondo, tu sai di me più cose…e io non so nulla…»

«Conosci il mio drink preferito e il mio nome…e la mia casa…»

«Ammetti, che è un po’ poco…» Cercò di mantenere un tono leggero. Ci provò con tutte le sue forze.

«E va bene. Ho un po’ daffare…incontro qualche amico. Soddisfatta?» No. Ma se avesse chiesto altro si sarebbe resa davvero ridicola.

«Sì. È meglio che vada…grazie…» Lui, sorrise.

«A dopo…Laura…»

Lei si allontanò con disinvoltura, ma appena fu abbastanza lontana, da non essere vista si mise a correre. Lui aveva il potere di sconvolgerla, e questo le metteva paura…ma nello stesso tempo l’attirava. In che guaio si stava cacciando?

Fine seconda parte.

Per hi avesse perso, la prima parte:

PRIMA PARTE